La questione della carenza d’acqua emerge come uno dei problemi più critici a livello globale, particolarmente sentito in molte zone di Asia e Africa, in particolare nell’area del Golfo Persico, dove l'accesso all'acqua potabile è un fattore sempre più complicato.
Secondo le stime della Banca Mondiale, diciassette paesi tra Medio Oriente e Nord Africa sono al di sotto della soglia minima di consumo idrico. Queste zone ospitano oltre il 6% della popolazione globale, ma dispongono solamente dell'1% delle risorse idriche mondiali.
Due sono le principali vie d’azione per affrontare questa sfida. La prima riguarda l'importazione di "acqua virtuale", ossia acqua dolce utilizzata per la produzione e la distribuzione di beni e servizi, da considerare come fonte esterna di approvvigionamento idrico. È da notare come l'agricoltura e il settore alimentare siano tra i più ingenti consumatori di acqua rispetto ad altri ambiti.
La seconda strada, quella maggiormente percorribile, è rappresentata dalla dissalazione, ovvero il trattamento dell'acqua marina per la sua trasformazione in acqua dolce.
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Le tecnologie di dissalazione hanno compiuto notevoli passi avanti nel corso degli anni, spinte dalla forte domanda proveniente proprio dalle regioni mediorientali e africane.
Dall'apertura del primo impianto in California nel 1965, il progresso è stato esponenziale: l’International Desalination Association (IDA) ora stima che più di 200 milioni di metri cubi di acqua vengono riciclati quotidianamente grazie a oltre 20.000 impianti di dissalazione attivi nel mondo, una cifra in continua crescita.
Il Medio Oriente guida questa espansione con un incremento del 28%, seguito dagli Stati Uniti con un aumento del 25%. La tecnologia predominante è quella dell'osmosi inversa, che rappresenta il 90% del mercato globale grazie alla sua capacità di minimizzare l'impatto ambientale producendo meno scarti salini.
Interessante notare come la crescita dei dissalatori non ostacoli il riutilizzo dell'acqua; anzi, queste due strategie vengono spesso implementate congiuntamente.
Gli Stati Uniti, per esempio, si posizionano come il secondo maggior mercato per il riutilizzo dell'acqua dopo la Cina, dimostrando un impegno combinato verso la sostenibilità idrica.
La maggior parte degli impianti di dissalazione si trova nel Golfo Persico. L'eccessiva dipendenza dal petrolio in queste aree evidenzia l'urgenza di trovare soluzioni alternative e di diversificare l'economia verso settori strategici nazionali, ma non solo.
L’abbondanza di combustibili fossili spiega la diffusione dei sistemi di desalinizzazione, dal momento che i primi impianti, funzionanti su base evaporativa, risultavano estremamente energivori.
Da ciò è nato anche il concetto di "acqua dei ricchi", visto che solo i Paesi economicamente più solidi – come Emirati Arabi Uniti, il Kuwait e il Qatar, a cui si aggiunge Israele - potevano inizialmente permettersi gli investimenti richiesti per gli impianti di dissalazione.
Tra Dubai e Melbourne emerge un aspetto comune nonostante la distanza geografica tra le due località: entrambe ospitano impianti di dissalazione di rilevante grandezza.
Dubai vanta l'impianto di Jebel Ali, il più grande al mondo, simbolo di lusso e garanzia per un futuro ricco di acqua.
Melbourne, invece, punta a superare le dimensioni di Jebel Ali con l'impianto di Wonthaggi, un progetto da 3,5 miliardi di dollari avviato nel 2007 e ancora in fase di completamento, nato con l'obiettivo di combattere la siccità che affligge il Paese australe.
In Europa il panorama della dissalazione è caratterizzato da 2.352 impianti, con l'84% di essi che adotta la tecnologia dell'osmosi inversa. Tra questi, solamente l'8% rappresenta impianti di grandi dimensioni, contribuendo tuttavia in modo significativo (69%) al volume totale di acqua desalinizzata prodotta nel continente.
La Spagna emerge come il principale attore europeo nel campo della dissalazione, responsabile del 68% della produzione, a fronte di una grave crisi idrica che affligge il Paese.
Gli altri impianti si distribuiscono prevalentemente nei paesi mediterranei, con l'Italia che occupa il secondo posto (9%), seguita da Cipro (8%), Malta (5%) e Grecia (3%).
Esistono, inoltre, strutture minori nei paesi del nord Europa - Regno Unito, Olanda, Danimarca e Germania - dove vengono impiegate principalmente per applicazioni industriali.
L'Italia, benché distante dalla Spagna per numero di impianti e capacità produttiva, riveste un ruolo cruciale nella dissalazione in Europa. La questione della dissalazione è oggetto di dibattito sia politico che ambientale nel paese, riflettendo l'importanza crescente di questa tecnologia nel contesto europeo.
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